MAESTRO, DOVE ABITI?
VENITE E VEDRETE
Gesù disse loro: “Che cercate?”
Gli risposero: “Maestro, dove abiti?”
Disse loro: “Venite e vedrete”.
Andarono e videro dove abitava
e si fermarono presso di lui.
(Gv. 1, 38- 39)
Anche tu forse cerchi Gesù e vorresti incontrarlo…
Egli è presente ad ogni bivio del nostro cammino.
T’invita a seguirlo.
Se l’ascolti, vedrai dove abita, dove vorrebbe che tu rimanessi con lui.
Se manteniamo gli occhi aperti e ci prepariamo ad accoglierlo il Signore illumina sempre.
Egli ha chiesto alle monache certosine di seguirlo nel deserto. “Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito”. (Mt. 4,1)
Il «deserto» di queste monache non ha sabbia né oasi. È quello di una solitudine monastica, un angolo di silenzio dove – con i fratelli del mondo nel cuore – esse sono nascoste in Dio.
Il Cristo le fa partecipare alla sua morte e alla sua risurrezione. Egli attira verso la scoperta del suo amore e della sua gioia tutti coloro che si rendono liberi per lui.
Se tu non conosci il cammino che il Signore desidera vederti prendere, forse desideri riflettere con Lui su qualche eventuale pista… Per questo ti proponiamo da parte nostra, a titolo di documentazione e sotto forma di dialogo, di entrare un po’ nella vita delle monache certosine.
Forse, potrai trovarvi un po' di luce per orientare la tua vita verso certi valori che non saranno mai caduchi, e potrai scoprire in essi la pace e la gioia che il mondo non può darti.
Quando una giovane aspira ad entrare in Certosa…
Normalmente ci scrive.
A chi?
Preferibilmente alla Madre Priora.
Chi le risponde?
La Maestra delle novizie, le invia una lettera e un opuscolo e la invita a iniziare il discernimento con l’invio di un breve “curriculum vitae”.
E poi?
Se persiste nel suo proposito, e se, dal cammino percorso, si può pensare ad una autentica vocazione, viene invitata a trascorrere qualche giorno in Certosa.
Come vivrà questi giorni?
Affinché l’esperienza sia valida l’aspirante vive con la Comunità, seguendo il medesimo orario.
L’esperienza aggiunge nuove luci?
Dopo parecchi giorni l’aspirante ha potuto farsi un’idea approssimativa della vita che desidera abbracciare.
Chi si occupa dell’aspirante in quei giorni?
La Maestra delle novizie la visita spesso; l’aspirante s’intrattiene con lei, in una relazione di fiducia, sulla vocazione e su tutto quanto la riguarda.
Qual è lo scopo preciso di questo dialogo?
Approfondire la spiritualità certosina per aiutare l’aspirante a discernere la sua vocazione.
Quali motivazioni non sarebbero valide per diventare monaca certosina?
Le delusioni della vita …, il desiderio di un’esistenza tranquilla, senza problemi…, in generale qualsiasi motivo egoistico. L’unica motivazione valida è la ricerca dei valori eterni, la ricerca, più o meno chiaramente percepita, di Dio o almeno abbozzata. Cerchiamo di analizzare la vocazione con molta discrezione e pazienza.
A quale età si viene ammesse in Certosa?
L’età minima di ammissione sono i venti anni; però si consiglia di aspettare fino a ventitré, ventiquattro anni per potere acquisire una certa maturità umana.
Fino a quale età?
Senza permesso speciale del Capitolo Generale o del Rev. Padre (chiamiamo così il Superiore Generale dell’Ordine) non si può ricevere nessuno che abbia compiuto i trentacinque anni.
Il permesso viene concesso?
Se l’età non supera di molto i trentacinque anni si può ottenere il permesso. Però a questa età l’adattamento alle osservanze della Certosa è più difficile.
Che cosa chiede la Certosa per quanto riguarda la salute?
Prima dell’ammissione i nostri Statuti consigliano di «consultare dei medici che conoscano bene il nostro genere di vita». Leggeri squilibri psichici, che altrove potrebbero passare quasi inosservati, nella solitudine della Certosa trovano una cassa di risonanza che impedirebbe di vivere da noi una vita normale. Oggi gli esami medici sono obbligatori prima dell’inizio del Noviziato e della Professione.
Che cosa chiedete, quanto a forza di carattere?
La vocazione alla solitudine della Certosa esige una volontà determinata e un giudizio equilibrato.
Quindi non tutti i caratteri possiedono le stesse attitudini?
Alcuni si vedono più favoriti sul piano naturale, però quello che anzitutto conta è la chiamata di Dio.
In sostanza, qual è la qualità principale richiesta per entrare?
Un ardente desiderio di Dio come Assoluto, ed essere disposti a realizzare questo desiderio nella fede.
In questo cammino la missione della Maestra delle novizie in cosa consiste?
Accompagnare la novizia nella sua formazione, aiutarla nelle difficoltà e nelle «tentazioni che insidiano abitualmente i discepoli di Cristo nel deserto».
Ci sono metodi di orazione speciali in Certosa?
Normalmente la novizia certosina inizia ad imparare a percorrere il cammino della «Lectio divina». Questo metodo di orazione tradizionale nella vita monastica, descritto dal certosino Guigo II, consiste nel leggere pian piano un passo della Sacra Scrittura e «ruminarlo» lentamente. Poi, in silenzio, si utilizzano i sentimenti di azione di grazie, di lode, di contrizione, che il testo ha fatto scaturire nell'intimo di noi stesse per trasformarli in preghiera verso il Signore. Quando questo testo non ci dice niente di speciale, o sopraggiungono le distrazioni, si riprende la lettura con un altro passo lasciandolo scendere lentamente nel cuore. Questo metodo di orazione è molto semplice e riduce notevolmente le distrazioni. Tutto l’ambiente della Certosa dispone la monaca a lasciarsi possedere dall’orazione.
Certamente questo richiede tempo e un apprendimento che dipende molto dalla grazia personale e dalle inclinazioni di ognuna. Ma questo penetra nella novizia in modo naturale poiché ella vive abitualmente nella presenza di Dio, grazie al contatto continuo e orante della sua Parola nell’Ufficio Divino, nella preghiera delle Ore e nei tempi consacrati alla «Lectio divina».
Date molta importanza alla formazione alla vita di orazione?
Non potrebbe essere altrimenti; la relazione con Dio sta al centro della nostra vocazione. È importante che l’orazione della novizia tenda a divenire un semplice e amoroso sguardo verso il Signore, anche se si tratta dei primi gradi di questa orazione di «semplice sguardo» o di «quiete».
Non è esigere troppo da una novizia?
Se la novizia riceve la grazia dell’esperienza contemplativa, per quanto semplice e breve sia, sarà già preparata per superare i momenti di scoraggiamento o di aridità, e le crisi che si presentano generalmente, soprattutto nel periodo del noviziato.
La giovane novizia si libera a poco a poco dalla tirannide dei sentimenti e delle passioni, dai forti richiami del mondo, dal quale si è sinceramente staccata entrando in Certosa, ma che la tormenta qui, nascosto nel suo intimo. In tal modo domina a poco a poco la dispersione dei sentimenti, la superficialità e l’incostanza, e tutta la sua vita viene penetrata impercettibilmente della vicinanza di Dio. Mantenendo tutto il suo essere nel raccoglimento, nel silenzio interiore che invadono il suo spirito, le diventano quasi connaturali i sentimenti di adorazione, di gratitudine e di gioia spirituale. Se dovesse mancare questo pilastro della preghiera contemplativa, la vocazione sarebbe sempre esposta allo scoraggiamento, al fluttuare dei sentimenti mutevoli, alla stanchezza, all’aridità e mancanza di interesse per le realtà spirituali: tali sono molto spesso le cause che sono all’origine degli abbandoni della vita monastica.
Supponendo che un’aspirante monaca certosina, a giudizio delle Superiore della Certosa, abbia dato segni di autentica vocazione, che cosa fa?
Viene ammessa come postulante.
Che cos’è il Postulato?
È il periodo di prova che prepara al Noviziato.
Quanto dura?
Da sei mesi a un anno.
Che tipo di vita vive la postulante?
Molto simile a quella delle monache.
Esattamente uguale?
Le vengono concesse certe dispense perché il suo adattamento alla nostra vita avvenga gradualmente.
Come si veste?
Da secolare; però negli atti comunitari ha un velo e un manto nero.
C’è qualche cerimonia speciale per l'inizio del Postulato?
Sì, ma molto semplice. La Maestra le mette il manto e il velo menzionati, come segno di separazione dal mondo e ingresso nella Comunità.
Come occupa il suo tempo la postulante?
Nei tempi non consacrati alla preghiera e al lavoro, inizia la sua formazione allo spirito della Certosa. Impara le cerimonie liturgiche. Vi sono anche dei momenti di distensione, poiché «se l’arco viene costantemente teso, diventa più debole e meno adatto al suo scopo»…
Studia il latino?
Sì, a poco a poco studia quanto è sufficiente per poter capire i libri liturgici.
Supponiamo che durante i mesi passati nel postulato la candidata si sia comportata in modo soddisfacente…
Se la Comunità emette un voto favorevole, viene ammessa al Noviziato.
Quanto dura il Noviziato?
Due anni.
Che cosa fa la novizia durante questo tempo?
Si forma alla vita spirituale, allo studio della liturgia e delle osservanze certosine. Impara a lavorare nel raccoglimento. Inizia anche un ciclo di studi destinati a completare la sua formazione dottrinale e monastica.
Dove fa questi studi?
A motivo delle esigenze della vocazione eremitica della Certosa gli studi si fanno nella solitudine della cella.
E come?
A intervalli regolari le novizie rendono conto dei loro studi e chiedono le spiegazioni necessarie alla monaca incaricata di orientarle e risolvere le difficoltà incontrate. Si può anche ricorrere a corsi biblici o teologici per corrispondenza.
Come sono vestite le novizie?
Portano lo stesso abito delle monache che hanno fatto professione, la 'cocolla' è corta e senza le bande laterali. Il velo è bianco.
Che cos’è la 'cocolla'?
È un vestigio delle cappe degli antichi pastori di Certosa. È composta di due teli tenuti insieme da due bande laterali.
Sono trascorsi i due anni. La Comunità ha dato il suo voto favorevole. Cosa succede?
La novizia è ammessa alla Professione temporanea.
Perché «temporanea»?
Perché la novizia emette i suoi voti di stabilità, obbedienza e conversione dei costumi per soli tre anni.
Quali sono gli effetti della Professione temporanea?
La 'giovane professa' viene iscritta definitivamente nei registri della Certosa dove ha emesso i suoi voti. Gli anni di anzianità nell’Ordine vengono contati iniziando da questa prima professione.
Il Noviziato è terminato?
La giovane professa continua ad essere membro del Noviziato. La Maestra l’accompagna sempre nel cammino della sua formazione umana e spirituale. Nel corso di questi tre anni approfondisce la formazione spirituale e monastica iniziata nel noviziato.
Passati i tre anni…
La giovane professa rinnova i suoi voti per altri due anni. Vive tra le professe di voti solenni, sperimentando così integralmente la vita che pensa di abbracciare definitivamente.
Continua a studiare?
Nell’ultimo anno interrompe abitualmente gli studi per dedicarsi maggiormente all’orazione e alla solitudine della cella.
Sono già trascorsi otto anni di probazione…
È arrivata finalmente l’ora tanto desiderata della consacrazione definitiva.
È un giorno importante per una monaca certosina?
Sì, certo. È l’avvenimento in cui la Chiesa ratifica la chiamata di Dio, accettando il dono totale che la giovane professa fa di se stessa al Signore.
Che cosa promette?
Promette di vivere per sempre, esclusivamente, per la lode di Dio. La Professione solenne è il frutto di una lunga catena di grazie a cui la candidata ha corrisposto generosamente con la sua quotidiana fedeltà.
Che cosa succede dopo la Professione solenne?
Sotto certi aspetti essa è piuttosto un inizio. Con un atto grave la monaca certosina si è consacrata a Dio. D’ora in poi dovrà vivere giorno per giorno tale consacrazione.
Quali sentimenti abitano l’anima della monaca certosina nel giorno della sua Professione solenne?
Penso che siano gli stessi che, con accento lirico, esprimeva il nostro Padre san Bruno nella sua lettera ai Fratelli di Certosa:
«Rallegratevi dunque, fratelli miei carissimi, del vostro felice destino e dell’abbondanza delle grazie che Dio vi ha prodigato. Rallegratevi di essere scampati ai flutti tempestosi del mondo, a tutti i loro pericoli e ai loro naufragi. Rallegratevi di essere entrati in possesso della quiete e della sicurezza, di aver potuto gettare l’ancora nel porto più nascosto. Molti vorrebbero raggiungerlo, molti, anche, si sforzano di raggiungerlo, senza riuscirvi; molti, infine, dopo averlo raggiunto, non vi sono ammessi perché a nessuno di loro il cielo lo ha concesso. Perciò, fratelli miei, siatene più che certi, chi ha goduto di tanta fortuna, e per una ragione o per un’altra viene a perderla, ne proverà una sofferenza continua».
Che cos’è la consacrazione verginale?
Dopo la professione solenne, le monache che lo desiderano possono ricevere la consacrazione verginale. Il rito della Consacrazione delle Vergini, con il suo aspetto nuziale, stabilisce la monaca in un dono di appartenenza totale a Dio solo.
Finora abbiamo parlato di postulanti, novizie e professe in generale; ma è vero che vi sono differenti modalità di vivere il carisma certosino?
Sì, certo. Quando S. Bruno si ritirò nel deserto di Chartreuse con altri sei compagni, quattro di essi vivevano sempre nella cella mentre gli altri due si occupavano anche dei lavori fuori cella. Furono essi i primi 'Fratelli conversi' dell’Ordine. Allo stesso modo, tra le monache, esistono diversi modi di consacrare la propria vita a Dio nella solitudine della Certosa:
Le monache del chiostro vivono nel proprio eremo la maggior parte del giorno, pregando, studiando, lavorando.
Le monache converse, in una vita di autentica solitudine, oltre al tempo dedicato alla preghiera e allo studio, occupano, fuori dal proprio eremo, parte della giornata nei lavori del monastero.
Monache del chiostro e monache converse condividono in forme complementari la responsabilità della missione che incombe alle comunità certosine: far esistere in seno alla Chiesa una famiglia di solitarie.
Ci sono altre differenze tra monache converse e del chiostro?
No, dopo il Concilio Vaticano II vennero soppresse tutte le differenze che non rientravano nell’essenza della loro vocazione, che è la stessa per tutte. Infatti, la formazione che ricevono è uguale per tutte.
In che cosa consiste il lavoro in Certosa?
Occorre sottolineare prima di tutto che il lavoro è un lavoro monastico. Le monache non sono delle impiegate il cui fine principale sarebbe quello di far funzionare il monastero. Quando diciamo che il loro lavoro è un lavoro monastico intendiamo dire che si tratta di un atto religioso che aiuta a progredire nella pratica delle virtù e che avvicina a Dio.
Come possono nel pieno del lavoro conservare lo spirito di preghiera e di solitudine?
Gli Statuti dell’Ordine consigliano di ricorrere durante il lavoro a brevi slanci verso Dio (chiamati 'preghiere giaculatorie'). Si può anche interrompere il lavoro per un breve momento per pregare.
Quali sono i lavori non ammessi in Certosa?
Quelli che non convengono alla vita monastica.
Ad esempio?
Quelli che richiedono un’uscita dal monastero.
È importante osservare il silenzio durante il lavoro?
Sì. È molto importante custodire sempre il silenzio. I nostri Statuti dicono: «il raccoglimento spirituale durante il lavoro condurrà la monaca alla contemplazione».
Quale posto ha il lavoro nella vita della monaca del chiostro?
Ogni giorno si dedica ad un’occupazione utile per le necessità della comunità: bucato e cucito, sacrestia, rilegatura, segretariato, ecc. ogni tipo di lavoro eseguito in cella facendo attenzione a conservare libera la mente e il silenzio interiore.
A differenza degli Ordini religiosi di vita apostolica che si dedicano alla predicazione, all’insegnamento, all’assistenza agli infermi, ecc. a che cosa si dedica l’Ordine dei Certosini?
La nostra missione nella Chiesa è quella che tradizionalmente viene chiamata «vita contemplativa».
In che cosa consiste la vita contemplativa di una monaca certosina?
Un mistero che si avvicina al mistero di Dio. Essa partecipa in un certo modo alla grandezza e incomprensibilità di Dio. Al di là delle cose del mondo, persino al di là di ogni ideale umano, al di là della propria perfezione, la monaca certosina cerca Dio. Vive solo per Dio. Consacra la sua vita, corpo e anima, a lodare Dio. Questo è il segreto della vita puramente contemplativa: vivere solo per Dio, non desiderare altro che Dio, non saper altro che Dio, non possedere altro che Dio, lasciando che egli dilati il nostro cuore tanto da poter abbracciare il mondo intero. Chi riconosce Dio, considerato come il Bene supremo, comprenderà il valore di questa vita di totale consacrazione che è la vita della monaca certosina.
Bello come ideale…
Sì, però questo bell’ideale richiede un clima adeguato per svilupparsi.
Qual è questo clima adeguato?
I nostri usi, le nostre osservanze, creano questo clima e rivelano così il loro senso. Considerati solo in sé stessi, senza relazione al loro fine, sarebbero incomprensibili e risulterebbero una collezione di pratiche strane.
Vediamo…
Qual è il termine che viene ripetuto più sovente in Certosa?
Se si cercasse l’espressione ripetuta più sovente nei nostri Statuti, si troverebbe certamente: «solitudine e silenzio».
Sarebbe uno slogan che esprime la vostra spiritualità?
La spiritualità certosina è la spiritualità del deserto.
È una tradizione?
Questo affermano i nostri Statuti quando dicono: «I nostri padri nella vita certosina seguirono una luce venuta dall’Oriente, quella degli antichi monaci che, votati alla solitudine e alla povertà di spirito, popolarono il deserto in un’epoca in cui il ricordo ancora vivido del sangue versato dal Signore continuava ad ardere nei loro cuori».
È una spiritualità che vi è propria, o ha fondamenti altrove?
Nella Sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa.
Benché riconosciate che la solitudine è solo un mezzo, voi le tributate un vero culto: perché?
Perché, come dicono bene i nostri Statuti, citando Dom Guigo, quarto successore di San Bruno nell’eremo di Chartreuse, la solitudine è il mezzo privilegiato per vivere l’unione con Dio: «Non potremmo passare sotto silenzio un mistero che innanzitutto dobbiamo imitare: è proprio Lui, il Signore e Salvatore del genere umano, che si è degnato di offrirci, nella sua persona, il primo modello vivente del nostro Ordine quando, solo nel deserto, attendeva alla preghiera e agli esercizi della vita interiore. (…) il gusto per la salmodia, l’applicazione alla lettura, il fervore della preghiera, la profondità della meditazione, il rapimento della contemplazione, il battesimo delle lacrime non hanno aiuto maggiore della solitudine».
Questa importanza che la Certosa accorda alla solitudine ha, quindi, una ripercussione sulla struttura giuridica dell’Ordine?
Tutta la legislazione della Certosa tende a conservare e favorire la solitudine e il silenzio che sono i tratti salienti della spiritualità del deserto e della spiritualità certosina.
Mi può segnalare qualche aspetto dei vostri Statuti riguardo la solitudine?
Gli Statuti proibiscono, ad esempio, alla monaca certosina qualsiasi attività di tipo apostolico, sia a livello personale, sia per iscritto, pubblicando libri, o facendo un accompagnamento spirituale per corrispondenza, cose eccellenti in se stesse ma che non sono nella linea della sua vocazione eremitica.
Tanta rigidezza non potrebbe urtare la Chiesa Cattolica contemporanea?
Al contrario, è precisamente questo che la Chiesa attende oggi dalla Certosa.
Il Concilio Vaticano II ha detto chiaramente che il dovere dei contemplativi è “occuparsi unicamente delle cose di Dio nella solitudine e nel silenzio… per quanto urgenti siano le necessità dell’apostolato attivo” (Perfectae Caritatis, 7). Il silenzio: potrebbe forse essere la parola di cui il mondo d’oggi ha più bisogno.
Voi, monache certosine, difendete la vostra vocazione contemplativa con la solitudine, però… come fate a difendervi dall’invasione dei mezzi della comunicazione sociale?
Per evitare questo pericolo, in Certosa rinunciamo alla radio, alla televisione, e gli Statuti raccomandano prudenza con le letture profane.
Quindi vivete come estranee al mondo di oggi?
I nostri Statuti ci parlano della necessità di «renderci estranei ai rumori del secolo» come qualcosa di fondamentale per la vita solitaria. Però spetta alla Priora la cura di trasmettere alle monache le notizie del mondo che è bene non ignorino, affinché la Comunità possa presentare al Signore le necessità di tutti gli uomini.
Questa osservanza perentoria e dura non rischia di alterare l’ideale spirituale della Certosa?
Tutta la nostra legislazione sulla solitudine e il silenzio costituisce la lettera delle nostre osservanze. In esse si riflette il clima propizio alla nostra vocazione eremitica. Però sappiamo che questo non è tutto e neppure il più importante.
Riassuma in breve dove si trova l’essenziale per una monaca certosina.
Essere innamorata di Dio… fino a trasformare la solitudine in un luogo privilegiato dove vivere l’incontro e l'intimità con il Signore.
La monaca certosina fedele a questi principi è felice?
Sì, perché la monaca fedele alla sua vocazione comprende che Dio la chiama a incontrarlo nella solitudine e nel silenzio; solitudine e silenzio situati sempre più profondamente nello spirito.
Solitudine e silenzio sempre più profondi?
Sì, la solitudine esteriore crea l’ambiente propizio, necessario perché possa svilupparsi una solitudine più perfetta: la solitudine interiore.
In che cosa consiste?
In un processo spirituale nel quale la memoria, l’intelletto e la volontà perdono, a poco a poco, ogni interesse e gusto per le cose che passano. In cambio, Dio incomincia ad essere percepito come l’Essere unico, il solo che può saziare le aspirazioni profonde dello spirito. La monaca certosina diventa un’autentica 'monaca' contemplativa soltanto quando scopre, nell’ammirazione, che ormai Dio solo la può colmare. Questa scoperta procura una tale sensazione di libertà interiore e di gioia, che è difficile esprimerla a parole.
Questa esperienza è qualcosa di tipico ed esclusivo della Certosa?
Si tratta di un processo spirituale già descritto dagli antichi monaci e monache del deserto che iniziarono la vita eremitica o cenobitica in Egitto e Palestina: Antonio, Pacomio, Eutimia, Evagrio, Ilarione e tanti altri.
Concretamente come lo vivete voi, certosine?
Penso che tutto questo processo spirituale si potrebbe riassumere in una sola parola, molto amata da san Bruno e dai primi certosini: 'quies' quiete, cioè la calma o il riposo spirituale.
Se capisco bene, questo significa che tutto l’ambiente della Certosa tende a…
A un clima di solitudine e silenzio che elimina il rumore molesto dei desideri e delle immagini della terra. Si tratta di un’attenzione tranquilla e calma della mente in Dio, favorita dalla preghiera e dalla lettura lenta. Si approda così alla 'quies' - quiete - o riposo dell’anima in Dio. Riposo nella semplicità, divinizzato e gioioso, che in un certo modo fa toccare con mano alla monaca la bellezza della vita divina.
Voi avete fama di essere molto penitenti.
Il tema delle penitenze in Certosa, come tanti altri, fornisce l'occasione per una effervescenza di strane idee. Per noi le penitenze sono semplici “mezzi destinati ad alleggerire la pesantezza del corpo per poter seguire il Signore più prontamente” come dicono i nostri Statuti.
Voi sapete che al giorno d’oggi la penitenza individuale non è vista come un mezzo indiscutibile… viviamo in tempi in cui si privilegia la comprensione, il dialogo…
Sì, la penitenza e, in generale, tutto ciò che significa sacrificio, risulta ostico al giorno d’oggi; se ne parla facilmente senza saper bene di che cosa si tratta. Eppure tutti vedono che uno sportivo si priva di molte buone cose e sottomette il suo corpo a un rude allenamento.
Voi, monache certosine, volete vivere secondo 'l’uomo nuovo' come dice la Scrittura. Mi potete precisare quali sono le penitenze fondamentali?
La separazione dal mondo, dalla famiglia, dagli amici, l’assenza di notizie, di viaggi… Sono le privazioni che costano forse di più alle novizie. Ci sono anche il sonno diviso in due tempi, la semplicità dei nostri abiti, la frugalità del regime alimentare…
Cosa mangiate…?
Nel monastero non mangiamo mai carne. La colazione consiste in una bevanda calda con il pane. A mezzogiorno abbiamo un pranzo a base di pasta o riso, ortaggi, legumi, pesce o uova e frutta. Alla sera, se non sono giorni di digiuno, la cena consiste in una minestra, un uovo e del formaggio e frutta.
I giorni di digiuno…?
I digiuni incominciano il 15 settembre e durano fino a Pasqua. In questo periodo la cena si riduce a una minestra o insalata, pane e frutta.
Il venerdì avete un regime speciale?
Generalmente il venerdì osserviamo l’astinenza. In quel giorno non mangiamo né uova, né pesce, né latticini. Il Venerdì Santo e il Mercoledì delle Ceneri prendiamo soltanto pane e acqua.
Le aspiranti e le novizie sono obbligate a seguire tutte queste pratiche di digiuno?
L’adattamento al nostro genere di vita richiede tempo e prudenza. Perciò le aspiranti e le novizie si iniziano progressivamente ai nostri usi e costumi, sotto il controllo vigile della Maestra delle novizie che le consiglia.
E le ammalate…?
I nostri Statuti dicono: «Se in qualche circostanza o con il passare del tempo una monaca si accorgesse che qualche nostra osservanza supera le sue forze, e ritarda il suo slancio verso il Cristo, anziché sostenerlo, allora, d’intesa filiale con la sua priora, deciderà la misura opportuna per lei, almeno a titolo temporaneo».
È ammesso il fumo?
Per spirito di rinuncia e di povertà, abbiamo scelto di rinunciare al tabacco.
Riassumendo…
Questi sono gli aspetti salienti dell’ascesi certosina. L’Ordine li giudica sufficienti e, prudentemente, decreta in modo perentorio che «all’insaputa della priora e senza la sua approvazione, nessuna può permettersi altre pratiche di penitenza oltre a quelle contenute in questi Statuti». La Certosa ha ereditato da san Bruno la sua moderazione e il suo equilibrio. Nella sua lettera all’amico Raul, il santo descrive con entusiasmo l’amenità del paesaggio di Calabria, e, per tagliar corto allo stupore che l’amico potrebbe provare di fronte a queste esuberanze meno spirituali, spiega: «quando la mente, troppo fragile, è affaticata per l’austerità della regola e l’applicazione spirituale, spesso trova sollievo e riacquista vigore attraverso il fascino del deserto e la bellezza della campagna. L’arco, infatti, se la corda rimane troppo a lungo tesa, perde vigore e non è più in grado di servire».
Per concludere con questo tema: quali sono i tratti principali dello spirito certosino?
L’unione con Dio, tendere alla preghiera continua nella solitudine e silenzio, la “quies” (quiete contemplativa), la semplicità di vita, l’austerità; questi sono i tratti principali dello spirito certosino, e coincidono con le linee maestre della spiritualità del deserto.
Da quanto abbiamo detto finora, posso intuire che quel che vi è di più caratteristico nella vita certosina è vivere nella solitudine e nel silenzio una vera comunione di solitarie per Dio. Ho letto che, tra tutti gli ordini monastici, per lo meno in Occidente, voi siete quello che vive più puramente la vita eremitica.
È probabile. Questo è il tratto saliente della nostra identità e il nostro carisma specifico.
Ma questo carisma di solitudine non rischia forse di mettere in ombra aspetti importanti ed evangelici come l’amore del prossimo e il suo servizio? San Basilio, il padre del monachesimo orientale diceva: «Come posso lavare i piedi dei miei fratelli se vivo rinchiuso in un eremo?»
Sì, però non dobbiamo dimenticare che, nella Chiesa, come diceva san Paolo, le membra non hanno tutte la stessa funzione. «La vita delle monache certosine è consacrata alla lode di Dio e alla preghiera d’intercessione per tutti gli uomini».
Quindi?
Sebbene il nostro carisma specifico non preveda di assistere gli ammalati, né di scrivere, né di insegnare, la Certosa non è un’istituzione puramente eremitica; la vita solitaria è equilibrata da una parte importante di vita comune che, essa pure, è parte essenziale del nostro carisma .
Ah, sì?
Effettivamente, e questo fin dagli inizi dell’Ordine. Nonostante la forte attrattiva verso il deserto che provava il nostro padre san Bruno, è certo che egli non fu un solitario di stile tradizionale, come lo furono gli eremiti, Paolo, Antonio, Benedetto: essi iniziarono la loro vita monastica vivendo completamente soli nel deserto. San Bruno? Non lo si vede mai solo: lo accompagnano sempre un gruppo di amici che condividono il suo ideale.
Particolare interessante…
Per noi è importante vivere da eremiti nelle nostre celle, ma formando nello stesso tempo una famiglia unita in seno al monastero. Nei secoli scorsi si usava il termine 'famiglia' per designare le comunità certosine, tenuto conto del numero ridotto dei loro membri; oggi in nostri Statuti fanno altrettanto.
Come viene vissuto, in pratica, questo aspetto 'familiare'?
La liturgia è il fondamento della nostra vita di famiglia. «Quando ci riuniamo per la santa Eucarestia, in Cristo presente e orante si consuma l’unità della famiglia certosina». Possiamo dire la stessa cosa degli Uffici di Mattutino e di Vespro che ci riuniscono ogni giorno in chiesa. Le domeniche e solennità, il pranzo in refettorio e l’incontro comunitario offrono il sollievo proprio della vita di famiglia. Inoltre ci troviamo insieme nella passeggiata settimanale che chiamiamo 'spaziamento'. L’insieme dona alla vita eremitica certosina un ambiente familiare, umano ed evangelico che ci aiuta a conservare un sano equilibrio.
Ha parlato spesso della 'cella' come se si trattasse di qualcosa di specificamente certosino. Me la può descrivere?
Sì, in una certosa la 'cella' è qualcosa di molto caratteristico. Essenzialmente tutte le celle certosine sono composte dagli stessi elementi, ma la loro disposizione interna può variare.
Me ne può dare una descrizione succinta?
Il termine 'cella' evoca spontaneamente l’idea di un unico locale. In realtà la cella certosina è una casetta di uno o due piani. Segno di unità: ogni casetta individuale è unita alle sue vicine da un chiostro comune (un lungo corridoio, generalmente a forma di quadrilatero).
All’ingresso di ogni cella presiede un crocifisso e una statua della Madonna. Quando entra nella sua cella la monaca recita sempre una Ave Maria.
Nel locale principale la monaca prega e legge, mangia e dorme. Questo locale (chiamato 'cubiculum') ha come mobilio un oratorio, una tavola, un armadio e un letto.
Una porta dà su un piccolo locale dei servizi igienici.
L’altra stanza, ben illuminata, è il laboratorio, dove la monaca può realizzare diversi lavori per i quali dispone degli attrezzi necessari. Davanti a questi due locali vi è anche un piccolo orto-giardino.
Questa è la cella certosina. La monaca vi passa i suoi giorni, i suoi anni, in silenzio, sola a sola con Dio.
Vi prende i pasti da sola, eccetto le domeniche e solennità in cui pranza nel refettorio con la comunità.
La cura del giardino, che ognuna coltiva secondo i suoi gusti e le necessità della comunità, serve sia come esercizio fisico che di tranquilla ricreazione e distensione spirituale.
La cella è un cielo o un purgatorio?
Il dono più prezioso in questa vocazione, è quello di aver ricevuto questa chiamata: vivere solo per Dio. I monaci di tutte le epoche hanno sperimentato e cantato la bellezza della vita in cella, lungo i giorni vissuti nell’intimità del Signore. I nostri Statuti si allacciano a questa lunga tradizione monastica dicendoci: «là Dio e il suo servo si intrattengono in frequenti colloqui, come si fa tra amici. Là, spesso, l’anima fedele si unisce al Verbo di Dio, la sposa allo Sposo, la terra al cielo, l’umano al divino».
Però, dato l’ambiente specifico della nostra società piena di rumore, immagini, distrazioni, non risulta difficile per i giovani adattarsi a una vita di silenzio e di solitudine così stretta come la vostra?
Normalmente, la cella esige per la novizia un processo più o meno lungo e penoso di adattamento – o meglio, direi di disintossicazione – per lasciar penetrare il silenzio nel profondo di se stessa, calmare la fantasia, gli affetti, i sentimenti, fino a raggiungere il riposo della mente, centrarsi sull’essenziale, sui valori trascendenti che, in definitiva, sono gli unici a poter saziare i desideri profondi dell’anima.
Quali consigli darebbe a una giovane che arriva dal mondo e comincia a vivere la sua nuova vita di eremita in cella, talmente diversa da quella vissuta fino ad allora?
Per prima cosa ponga la sua fiducia in Gesù. Se ha fatto nascere la sua vocazione, egli stesso la condurrà a buon fine. Confidi ugualmente nella Maestra delle novizie che le indicherà prudentemente gli orari precisi per occupare le sue giornate in modo ordinato e utile; le insegnerà anche a lottare contro le tentazioni di scoraggiamento, ad abituarsi a poco a poco ad un ascolto tranquillo del cuore e a lasciar Dio penetrare nel suo intimo.
Mi sembra che gli orari in Certosa siano un po’ strani.
Sì, un po’ originali.
A che ora si va a letto?
Alle ore 19,30 o 20. In estate il sole è ancora alto, al di sopra dell’orizzonte.
Coricarsi alle 19,30 o 20! E a che ora vi alzate?
Tenuto conto delle leggere differenze tra una casa e l’altra, ci alziamo generalmente alle 23,45. A quest’ora la campana della chiesa chiama alla preghiera.
Così, la giornata della monaca inizia alle ventitré e quarantacinque?
Sì.
E che cosa fanno le monache a quell’ora?
Si inginocchiano all’oratorio della cella e iniziano la loro missione di lode recitando Mattutino dell’Ufficio de Beata (è detto così l'Ufficio della Beata Vergine Maria).
La giornata comincia bene!
Verso mezzanotte e un quarto la campana suona nuovamente e tutta la comunità si dirige verso la chiesa attraverso i chiostri solitari appena illuminati.
E giunte alla chiesa…
Disponiamo i libri liturgici sui leggii, spegniamo le luci ed entriamo in un profondo silenzio. Al segnale inizia il canto di Mattutino.
Mattutino, cos'è?
Mattutino o 'Veglia notturna' è una parte della nostra liturgia comunitaria. Vi si alternano salmi e letture tratte dalla Sacra Scrittura o dai Padri della Chiesa. La salmodia è calma e meditativa. Le domeniche e altri giorni di feste importanti Mattutino termina con la lettura del Vangelo del giorno. Gli altri giorni termina con preghiere di intercessione per le necessità della Chiesa e del mondo.
Segue l’Ufficio di Lodi che termina con il canto del Benedictus, un’antifona in onore della Vergine Maria, e la preghiera dell’Angelus della notte suonato da lenti tocchi della campana.
E si ritorna in cella per coricarsi di nuovo?
Non ancora. Giunte in cella recitiamo le Lodi dell’Ufficio de Beata. Poi ci corichiamo senza tardare.
A che ora?
Questo dipende dalla durata degli Uffici che può essere da due a tre ore.
E perché tutto questo?
Perché la notte, secondo la testimonianza della Sacra Scrittura e il sentire degli antichi monaci, è un tempo specialmente favorevole al raccoglimento e all’unione con Dio. Per questo, in Certosa, abbiamo una predilezione speciale per queste ore di lode notturna.
A che ora vi alzate di nuovo?
Ci alziamo in modo da essere pronte alle 7 per pregare l’Ufficio di Prima, seguito da un tempo di orazione prima della S. Messa conventuale.
A che ora avete la Messa?
Alle 8 ci riuniamo in chiesa per la celebrazione eucaristica. Questa Messa è sempre cantata, con il canto gregoriano, e dura circa un’ora.
Quando la Messa è finita…?
Al ritorno in cella dalla Messa preghiamo l’Ora di Terza, poi, fino a mezzogiorno, il tempo è impiegato tra la “Lectio”, lo studio e il lavoro manuale.
A mezzogiorno?
A mezzogiorno, dopo aver pregato l’Ora di Sesta, seguita dall’Angelus, prendiamo il nostro pasto in solitudine, eccetto le domeniche e i giorni di festa.
E dopo il pranzo?
Disponiamo di un po’ di tempo di distensione: passeggiata o lavoro leggero nell’orto- giardino, oppure riordino e pulizie nella cella… Dopo preghiamo l’Ora di Nona, seguita da un tempo dedicato al lavoro manuale fino a Vespro.
Questi orari non cambiano mai?
Sì. Le domeniche e giorni di festa, l’Ora di Nona si canta in chiesa. Dopo andiamo in 'Capitolo' dove ascoltiamo una lettura del Vangelo o degli Statuti. Dopo il Capitolo abbiamo un incontro fraterno.
Come trascorrete il pomeriggio e la fine della giornata?
Dopo aver recitato l’Ora di Nona e fino a un quarto d’ora prima di Vespro dell'Ufficio divino in chiesa, quando viene recitato Vespro de Beata, consacriamo il nostro tempo al lavoro manuale. L’Ufficio di Vespro dura mezz’ora; si compone di un inno, di quattro salmi con le loro antifone, un responsorio e il Magnificat; si termina con le preghiere di intercessione e il canto della 'Salve Regina' il cui testo e melodia sono leggermente diversi da quelli del rito romano.
Dopo Vespro il tempo è consacrato agli esercizi spirituali. Le giovani in formazione alternano così studi e spiritualità.
A che ora cenate?
La cena, o, nei giorni di digiuno, la 'collatione', si prendono generalmente alle 18.
Che cosa fanno le monache dopo cena?
Dopo cena, come dopo pranzo, rimane un po’ di tempo libero.
Come si conclude la giornata?
Alle 19 la campana suona l’Angelus della sera. Le monache possono ancora prolungare la loro orazione o lettura spirituale durante un’ora, ma è consigliato di non tardare a coricarsi.
La giornata termina con la recita di 'Compieta', Ufficio nel quale si ringrazia Dio per tutte le grazie ricevute durante il giorno e gli si domanda protezione per la notte imminente.
Così terminiamo, tra le 19,30 e le 20, la nostra giornata vissuta nell’attesa della venuta del Maestro.
Suppongo che i vostri orari siano stabiliti in funzione della vostra vita liturgica: è così?
Effettivamente, Mattutino nel cuore della notte, la Messa conventuale al mattino di buon’ora e Vespro verso sera, ritmano la giornata; questi Uffici ne sono i momenti forti nei quali le monache lasciano le loro celle per andare in chiesa.
Quale posto occupa la liturgia nella vita della monaca certosina?
La nostra vocazione è di essere con il Cristo e nel Cristo una lode a Dio Padre, attraverso il nostro ministero di lode e di intercessione. L’Eucaristia, celebrata e cantata sulle melodie gregoriane ogni mattina in comunità, è, secondo i nostri Statuti, «il centro e il culmine della nostra vita».
E l’Ufficio divino?
La monaca certosina recita una buona parte dell’Ufficio divino sola in cella, però sa che la sua non è una voce individuale, isolata, perduta nell’immensità del mondo, ma che è la preghiera stessa del Cristo e di tutta la Chiesa. Sì, nella liturgia, il Cristo in quanto nostro Capo, prega in noi, in modo tale che in lui noi possiamo riconoscere la nostra voce, e in noi la sua.
Se è d’accordo, le pongo una questione elementare: che cos’è la Certosa?
È un Ordine monastico nato alla fine del secolo XI, un cammino evangelico che ha realizzato un percorso di più di nove secoli.
Chi è il suo fondatore?
Più che 'fondatore' di questo genere di vita, direi 'iniziatore': tale fu san Bruno, nato a Colonia in Germania, verso l’anno 1030. Fu studente, poi canonico e rettore della famosa scuola cattedrale di Reims. Con sei compagni si ritirò in un angolo solitario e nascosto delle Alpi del Delfinato, il massiccio di Chartreuse, a una trentina di chilometri da Grenoble. La casa generalizia dell’Ordine si trova tuttora in quel luogo.
Perché dite che san Bruno non fu il fondatore del vostro Ordine, ma il suo iniziatore?
Perché, di fatto, san Bruno non ha scritto alcuna regola monastica. Inoltre, non rimase a lungo nell’eremo di Certosa. Chiamato dal Papa Urbano II, che era stato suo allievo a Reims, dovette recarsi a Roma e accompagnare il Papa nei suoi spostamenti nell’Italia meridionale. Urbano II comprese il carisma di san Bruno, profondamente attirato verso la vita di eremita, e gli permise di ritirarsi di nuovo in un luogo solitario della Calabria, a Santa Maria della Torre. Là fondò con altri compagni un eremo simile a quello di Certosa Vi morì nel 1101. I suoi resti riposano là. Ma fu la prima fondazione di Certosa, nelle Alpi francesi, che mantenne il suo spirito e fu all’origine dell’Ordine monastico dei Certosini.
E le monache certosine, chi è la loro fondatrice?
Anche noi, monache certosine, siamo figlie di san Bruno.
Verso il 1145, una comunità di monache di Prébayon, nel sud della Francia, attirate dal genere di vita della Certosa, decise di adottare le «Consuetudini» dei monaci. Il Capitolo Generale accordò loro la filiazione. Da allora, fino ai nostri giorni, la Certosa costituisce un’unica famiglia composta da un ramo maschile e da un ramo femminile.